Sulle dimissioni della premier neozelandese Jacinda Arden

Photo credit: New Zealand Labour Party., CC BY-SA 4.0

La prima ministra della Nuova Zelanda annuncia le sue dimissioni, prima della fine del mandato, dicendo che “Le sfide politiche in questi anni sono state arricchenti ma mie energie non mi consentono di proseguire e di ricandidarmi. Sono umana. Noi politici siamo umani.”

Questa scelta potrà provocare reazioni diverse in noi donne. Noi desideriamo rilevare la sua capacità di leggere, accogliere e stare nelle e con le sue fragilità: questo non la rende meno forte.

All’origine del patriarcato speso giace un senso di onnipotenza e virilità che, se non rilevato, ci rende violenti, verso noi stessi/e e/o verso gli altri. Riconoscere i nostri desideri profondi, integrandoli con le nostre energie, ci fa autenticamente umani ed è significativo che a farlo pubblicamente sia oggi una donna.

Oltre al dato personale occorre considerare il fatto che una donna arriva in posizione apicale di potere deve conformarsi ad un modello di potere maschile. Più si è lontane da quel modello, più il carico di stress emotivo e psicologico sarà elevato (quello che in inglese chiamano emotional labor, la fatica emotiva).

È per questo che non basta l’inclusione delle donne – e ancora più delle donne razzializzate, e di tutte le altre possibili intersezionalità – nei luoghi di potere maschile (a maggior ragione nella Chiesa) perché cio’ che si otterrà sarà solo l’esposizione di quelle donne ad un ambiente che rischia di essere tossico. Oltre all’inclusione, bisogna che avvenga un cambiamento delle strutture stesse di potere. Un cambiamento che, con il suo esempio, Jacinda Ardern ha incoraggiato. Per questo bisogna considerare anche gli aspetti sistemici che hanno portato alla sua scelta di dimissioni.

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