“Neanche io ti condanno”

di Paola Cavallari

in “Esodo” n. 4 del dicembre 2018

  1. «Quell’uomo là dice:/ una donna deve essere aiutata a salire in carrozza/ e sollevata sopra i fossi/ e avere i posti migliori ovunque./ Nessuno mi ha mai aiutato a salire in carrozza/ ed a attraversare pozzanghere fangose/mi ha dato il posto migliore./ Non sono una donna?/ Guardatemi!/ Guardate il mio braccio!/ Ho arato e seminato/ e raccolto nei granai/ e nessun uomo poteva superarmi./ Non sono una donna?/ Potevo lavorare come un uomo/ e mangiare altrettanto/ quando potevo averne/ e sopportare la frusta altrettanto bene./ Non sono una donna?/ Ho partorito tredici figli/ e li ho visti quasi tutti venduti in schiavitù/ e quando ho gridato l’angoscia di una madre/ soltanto Gesù mi udì./ Non sono una donna?/ quel piccolo uomo in nero là dice:/ una donna non può avere gli stessi diritti di un uomo,/ perché Cristo non era una donna» (E. S. Fiorenza). È una ex schiava afro-americana – Sojourner Truth – che parla.

 

In una riunione nel 1852, nell’Ohio, rivolge queste parole a un pubblico – di maschi bianchi – chiamato a decidere sul voto alle donne. Non sappiamo se Sojourner Truth abbia portato a termine tutte le sue gravidanze se abbia creduto di dovere ricorrere all’aborto. Chi di noi, di fronte a questa donna la cui vita è squarciata dalla crudezza della iniquità sociale – a cui la Chiesa partecipa, come si evince dall’ultimo verso – ebbene chi di noi, messo di fronte a una scelta di aborto, potrebbe scagliare la pietra, e giudicarla colpevole di egoismo?

 

  1. Vangelo di Giovanni: “Gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio… Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra… E disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»… E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più»”. Il brano comunemente si interpreta come: nessuno scagli la prima pietra perché nessuno è tanto immune dal peccato da poter giudicare i peccati di un altro essere umano senza pregiudizio. Piero Stefani ha osservato che “Il cuore profondo del messaggio… sta nella frase: «Neanche io ti condanno»… Da un lato non è lecito condannare perché tutti sono colpevoli, dall’altro: «Non voglio condannare a causa della mia innocenza; se facessi prevalere la punizione sulla misericordia neppure io sarei più innocente… Gesù non dice «ti perdono», afferma «non ti condanno»”.

 

Nel capitolo precedente, Giovanni inserisce una frase: Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate secondo giustizia – Gv 7,24. Rimandi sotterranei affiorano: sarà un caso che immediatamente dopo c’è la donna adultera? Per cui suggerisco, a mia volta: “Non ti condanno perché forse non tu sei da condannare…; la supposta colpevolezza di quell’essere è probabilmente costruita su apparenze – e Gesù non si presta alle apparenze e su pregiudizi e Gesù non si presta a pregiudizi. Forse la sua condotta è l’esito afflittivo di una sua reazione che fa seguito a una catena di torti inflitti, di malvagità subite. Occorre purificare il proprio sguardo, prima di pronunciare un giudizio, che potrebbe essere segnato da quella sclerocardia (durezza di cuore) che porta un sacerdote e un levita a tirar dritto alla vista di un “mezzo morto”, mentre un uomo d’altra etnia si inchina sul ferito e gli si fa prossimo (Lc 10,25-37). La misericordia che qui ci è trasmessa è un oltrepassamento dell’atto del giudicare “seconda la misura degli uomini”, nell’orizzonte di quella logica paradossale che governa tanti racconti evangelici. Non è l’unica volta che Gesù, di fronte a personaggi femminili “irregolari”, manifesta un’empatia spiazzante.

 

  1. 10 ottobre di quest’anno. Udienza generale in piazza San Pietro. Papa Francesco afferma: «Un approccio contraddittorio consente anche la soppressione della vita umana nel grembo materno, in nome della salvaguardia di altri diritti… Non si può, non è giusto fare fuori un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario… L’accoglienza dell’altro, infatti, è una sfida all’individualismo… E che cosa conduce l’uomo a rifiutare la vita? Sono gli idoli di questo mondo: il denaro, il potere, il successo». Nel febbraio 2016, Francesco aveva detto: «L’aborto non è un male minore, è un crimine, è far fuori, è quello che fa la mafia». Nel giugno di quest’anno, a proposito dell’aborto selettivo, aveva dichiarato: «Il secolo scorso tutto il mondo era scandalizzato per quello che facevano i nazisti per curare la purezza della razza. Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi». In questi pronunciamenti l’interruzione volontaria di gravidanza è sempre inserita in contesti i cui colori sono: l’esistenza egoista, l’individualismo, l’edonismo, la philautìa… con gli accessori di mafia e nazismo. Il papa si astiene dal nominare la parola donna, ma poiché il tema è l’aborto è su di lei che ci si pronuncia.

 

  1. L’aborto può essere dissociato dalla vita dell’embrione? Quest’ultima viene considerata dal magistero cattolico un assoluto, l’unico determinante aspetto. Consapevole della trasgressione, scinderò invece questi due momenti e metterò tra parentesi tale impostazione, conosciuta del resto ampiamente. La mia prospettiva decentra lo sguardo e sceglie l’interrogativo, sospendendo il giudizio. Simone Weil pose a Padre Alain Couturier domande sulla Chiesa cattolica; nell’esordio scrisse: “Nell’ambito dell’intelligenza, considero parte costitutiva dell’idea di umiltà una certa sospensione del giudizio nei riguardi [dei convincimenti ecclesiali]. Sul suo esempio, nella mia imperfezione, pongo interrogativi a chi legge, preceduti da premesse.

Aumentano governi autoritari, l’arcaico si fonde con il postmoderno neoliberista; dilaga una cultura, in cui la paura e il disprezzo verso l’altro vanno di pari passo con l’ostilità all’autonomia femminile; è in crescita l’instabilità dei regimi politici e il conseguente tasso di violenza nel mondo, unitamente all’aumento di bande di giovani maschi armati fuori controllo, insieme all’incremento esponenziale del commercio e possesso delle armi. Parallelamente aumentano le campagne di odio. Le donne stuprate (o uccise) non si contano più. Nelle aree non soggette a destabilizzazione politica, le donne morte per un aborto non medicalizzato sono soprattutto donne povere. Si registrano tassi alti di interruzioni in Africa, America latina. Qui, nelle aree rurali, si misura almeno il 10% di morti di donne incinte. Le donne che dopo un aborto non medicalizzato soffrono di complicazioni sono stimate al 40%. Nei paesi dove l’aborto è interdetto, almeno 3 milioni di donne vi ricorrono. In Asia e Africa, quando la legge lo consente, l’accesso di fatto è assai restrittivo

Domanda: Misericordia non domanderebbe di dissociarsi con fermezza o comunque differenziarsi da tali politiche/ideologie autoritarie, xenofobe e misogine, aggressivamente schierate (anche) contro l’aborto? Misericordia non raccomanderebbe di comprendere e accogliere le donne offese e umiliate dal bellicismo maschile o comunque da usanze patriarcali che mutilano quotidianamente la loro persona? Misericordia non suggerirebbe di far sentire loro che saranno ospitate anche in caso di aborto? La strada per il Regno non ci invita forse ad accompagnarci l’un l’altra/o, suggerendo di avere fede nel proprio desiderio? Gesù alla emorroissa dice: la tua fede ti ha salvata!

  1. Il concepimento è frutto di accoppiamento: l’orizzonte di senso e le tonalità emotive con cui si attua sono innumerevoli. A seconda di ciò, il concepimento potrà essere vissuto come frutto di un estatico congiungimento amoroso, in un’aura di auto-generazione e generatività per l’altro/a, o come un brutale strappo della carne e dell’anima. In questo ampio spettro di vissuti, il comportamento attivo dell’uomo e quello ricettivo della donna assumeranno accensioni emozionali assai differenti, cosicché, a un certo punto, quando il ricettacolo èstato sfregiato, non si può parlare di ricettività. Solo in minima parte lo stile attivo dell’uomo è esito della “natura”; è tutt’uno piuttosto con l’idea di virilità; un habitus a cui il vero maschio deve corrispondere: “un uomo è tale se dimostra la propria vitalità sessuale”, scrive Stefano Ciccone, una vitalità sessuale che, però, a detta anche degli stessi uomini, tende a mancare l’incontro con l’altro, la relazione con l’essere persona del partner nella sua totalità; esuberanza contraddistinta da vissuti poco permeabili, poco porosi alla reciprocità e, cosa più importante in materia, da una attitudine fallica che fa coincidere il piacere col coito.

Nella donna “le zone erogene sono così numerose – secondo S. De Beauvoir – che tutto il suo corpo si può considerare erogeno”. Mentre l’uomo riesce con una certa propensione a separare affetti e sesso, alle donne, secondo la filosofa, “occorre molto cinismo, indifferenza e orgoglio per considerare le relazioni fisiche come uno scambio di piaceri, in cui ognuno dei due trova ugualmente vantaggio”.

In tempi più recenti, così si interrogava Carla Lonzi: “Per il piacere di chi sto abortendo?”…”, e aggiungeva che: “Negandole la libertà di aborto, l’uomo trasforma un suo sopruso in una colpa della donna”, e dischiudeva così una prospettiva che il movimento delle donne poi ha eclissato, spostandosi quasi esclusivamente sulla difesa della legge 194.

Domanda: Perché una visione misericordiosa della vita, quando intercetta sulla sua rotta l’aborto, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, non esercita quel discernimento che decostruisce giudizi affrettati e apparenze convenzionali? Perché non associare l’aborto alle sue premesse, ai comportamenti sessuali diversificati dei due generi, tenendo in conto le marcate differenze nelle forme del godimento e le responsabilità rispetto alla propria potenza generativa, che contraddistinguono in questo frangente le condotte di donne e di uomini?

  1. Gli “impulsi virili” sconfinano – da sempre e ora maggiormente – dalla legittimità canonica e dalla coppia; negli ambienti ecclesiastici romani la tolleranza e la comprensione nei confronti delle scappatelle di lui sono state recentemente ribadite. Gli appetiti si rivolgono a “offerte” inverate dalla loro stessa “domanda”: il turismo sessuale, la pornografia e la prostituzione sono le principali. Un piccolo inciso: due padri della chiesa – Sant’Agostino e San Tommaso – si espressero su quest’ultima, osservando che conservare l’istituzione bordello era meglio che abolirla, altrimenti i miasmi mefitici si sarebbero sparsi ovunque, contaminando le donne oneste.

Tali fenomeni – dall’incremento esponenziale – delineano un rapporto di schiavitù sessuale tra utilizzatore e utilizzata (e le declinazioni di genere sono appropriate). Si dirà che sono forme estreme di perversione, che non rappresentano la sessualità maschile. È vero. Ma esse sono molto più comuni di quanto non si creda, e sono apparentate al modello – di cui ho già parlato – incline, per storia e cultura, a oscurare la reciprocità per il proprionaturale piacere. Gli uomini che interrogano le loro identità e coscienze di maschio su femminicidio/maltrattamenti non sono direttamente coinvolti in questo dramma, ma l’affinamento della loro sensibilità fa sì che non se ne dichiarino estranei, ma raggiunti, interpellati e implicati; il loro mettersi in questione deriva dal comprendere che la semplificazione è spesso una comoda via di fuga, che accondiscendere, senza pensarci, e omologarsi a certi stereotipi innocenti è un atteggiamento gregario, riproduce quella pervasività culturale impalpabile ma sotterraneamente agente di inferiorizzazione del femminile (così come dell’omosessuale o del diverso). Analogamente hanno agito gli effetti dell’uso irriflesso, ritenuto innocuo, degli stereotipi antisemiti, documentati dalla storiografia.

Domanda: Perché, in una prospettiva volta alla misericordia, non sviluppare una intelligenza di cuore che connetta tutti questi elementi (da quelli più macroscopici ai dettagli, legando cioè femminicidi, stupri, turismo sessuale, pornografia, prostituzione, pubblicità offensiva, un certo spirito burlesco e canzonatorio per serate di soli uomini); e comporre, infine, queste tessere in un quadro che veda l’aborto perfettamente omogeneo all’insieme, non disconoscendo la variabile indipendente che funge da funzione tra le variabili in gioco: cioè la sessualità maschile?

  1. “Il seminarista veniva espropriato della propria corporeità, considerata la fonte del peccato, molto più, ad esempio, dell’orgoglio e delle varie forme di egocentrismo… Bisognava liberarsi persino da ogni pensiero, da ogni desiderio della carne: la donna, fonte di tentazione e causa di perdizione! Non si poteva sfuggire allo sguardo accusatore di Dio che scruta i cuori e i pensieri. Affisso nei corridoi dell’istituto troneggiava un cartello: “Dio ti vede”. Credo non si trattasse solo di un giudizio negativo sulla sessualità e sulla donna che, in prospettiva, costringeva alla perdita della ricchezza relazionale; c’era di più, c’era l’emarginazione, se non il disprezzo, della donna, considerata la figlia di Eva, che offre il tragico frutto. Altro che collaboratrice, la donna sarebbe dovuta essere una variabile insignificante e marginale all’interno della comunità cristiana, anzi, un pericolo da evitare… Questo tipo di educazione suscitava in me un duplice sentimento: da una parte il desiderio represso della conoscenza di un ignoto da cui mi sentivo attratto e, dall’altra, la negazione e persino la demonizzazione del mondo femminile… Mia sorella maggiore, giunta all’età in cui si fanno evidenti i segni dell’adolescenza, si vergognava di uscire di casa, ritenendo forse quei segni come una colpevole provocazione: era un peccato essere donna? Che rapporto poteva avere con il proprio corpo?… Tutto ciò è frutto di una cultura cattolica lontana anni luce dal Vangelo di Gesù”.

Sono le parole di un prete, che fa parte di quella minoranza ecclesiale che si interroga, dolorosamente, sulla colpa della Chiesa a proposito della donna. Nel brano spicca l’icastica frase: era un peccato essere donna?.

Domanda: Un atteggiamento di misericordia nei confronti dell’aborto non domanderebbe un discernimento nutrito da queste forme di presa di coscienza redenta? Non domanderebbe più empatia e consapevolezza sullo storico statusprivilegiato di uomo, lo stesso che fu rigettato sia da Gesù sia dall’apostolo Paolo, cui dobbiamo la celebre frase di Galati 3,28 (“Non c’è Giudeo nè Greco, non c’é schiavo nè libero, non c’è maschio o femmina, perchè tutti siete uno in Cristo”)? Le donne non vanno santificate, né per essenza sono migliori degli uomini, né estranee dalla seduzione del potere, né immuni da strutture di peccato. Misericordia non chiamerebbe comunque all’ascolto dell’intima e oscurata loro voce, ad annunciare in Cristo la libertà del/la cristiano/a?

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