Testimonianza 19: sentirsi un “cane sciolto”

Il mio status attuale nella Chiesa: cane sciolto. Non mi vengono in mente definizioni migliori. Ministrante “ante litteram”, nei primi anni settanta, tra perplessità di alcuni, sorpresa di altri, grida di scandalo davanti ad una bambinetta in tarcisiana che si voleva mettere in disparte perché bambine e donne fuori dal presbiterio e, comunque, alla larga. Testarda nelle umiliazioni (perché non saprei definirle in altro modo) e risollevata da sorrisi incoraggianti in una battaglia che sembrava piccola, ma che ha richiesto altri vent’anni per una vittoria tuttora incompleta per molte (e anche per molti, che privandosi del contributo anche liturgico delle donne si privano di un passo determinante nella pienezza dell’essere chiesa, una). Tuttora ministrante, accolito di fatto ma non di diritto: alle grida di scandalo di un parroco degli anni settanta ha risposto la gioiosa pacatezza di un missionario gesuita al termine di un mio servizio all’altare, qualche anno fa: “La tua presenza ha portato soavità alla liturgia”. Guardo avanti, nel mio piccolo: un passo alla volta, come salendo in montagna, ma le montagne offrono un gran panorama quando si è in vetta. L’apartheid uomo-donna l’ho sperimentato duramente nella Chiesa per non poterlo combattere e non continuare a farlo, nella condivisione della mia esperienza, nello studio e nella preghiera illuminata dal Vangelo. Cane sciolto, briciola di lievito nella pasta. Ma incontrando questo gruppo e tante altre persone disponibili ad un dialogo onesto e senza preclusioni, il pane condiviso potrà lievitare.

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