Dialogo: Donne nella Chiesa locale: femministe o ancelle

“Quando vedi che nessuno ti ascolta stai zitta. Ma quali le conseguenze di questa assenza di parola per noi donne?”

Il 15 febbraio si è svolto un incontro online tra alcune socie della nostra associazione che sono impegnate, a vario titolo, nella parrocchia, sul tema: Quali sfide e buone pratiche possiamo condividere della nostra esperienza in parrocchia?

Emerge un comune senso di insoddisfazione e frustrazione: sentimenti generati dalla consapevolezza di poter dare e fare di più per la comunità, e non poterlo fare perché donne.

È emerso con chiarezza, nelle quasi due ore di dialogo, che è sempre ‘a discrezione del parroco o del vescovo’ il tipo di servizio e il perimetro di potere e autonomia di cui le donne possono godere in diocesi o in parrocchia.

Anche chi ha posizioni più progressiste, nella Chiesa locale sente di non avere spazi per provocare un cambiamento e, spesso, ‘si preferisce stare zitte’, afferma una partecipante.

L’incontro è stato un momento prezioso di condivisione, per incoraggiarci reciprocamente e non sentire l’isolamento della propria invisibilità di genere nella Chiesa. La sentiamo una questione di giustizia quella di una partecipazione più piena ed egualitaria.

Oggi molte donne sono preparate, teologicamente e biblicamente, per animare gruppi ed eventi; talvolta ci si riconosce più competenti di alcuni sacerdoti, le cui omelie sono un’offesa all’intelligenza umana.

Alcune si sono domandate se le parrocchie sono ancora una struttura adeguata a costruire comunità? Oppure è possibile costruire comunità intorno alla Parola fuori della parrocchia?

In realtà, esistono già diverse realtà di questo tipo, soprattutto composte da donne che, nella parrocchia, non si sentono incluse e riconosciute nella loro capacità di parola e di insegnamento. La pandemia ha accelerato questo processo e sono nate comunità domestiche e cerchi di donne per la Lectio Divina.

Voci delle partecipanti

 “Sono cresciuta in parrocchia e la vivo come casa, ma i rapporti sono conflittuali: per i parrochi poco inclini a valorizzare l’apporto delle donne, il lavoro delle catechiste e delle donne in generale dato per scontato.

Quando ero piccola ho chiesto di fare la ministrante e mi è stato risposto che non era cosa per femmine.

Tutte le catechiste sono donne, ma, se ci sono gli incontri con i genitori, li fanno i maschi. Non vedo mai un papà passare lo straccio in chiesa, sono sempre e solo donne quelle che si prendono cura della Chiesa.

Queste situazioni mi hanno sempre fatto soffrire e continuano a generare in me frustrazione e rabbia.”

“Non mi sono lasciata fermare, non sono stata prudente alcune volte e l’ho pagata. Noi siamo formate e abbiamo studiato per fare catechismo; poi arriva un prete che non ha avuto nessuna esperienza che è autorizzato a cambiare le cose e a decidere solo per il fatto di essere prete. Non si rendono conto che possono offendere e ferire chi da tutta sé stessa per un servizio di qualità.”

“Io ho un’esperienza particolare: sono in equipe con un parroco e un diacono, io vivo nella casa parrocchiale. È un’esperienza nuova di gestione della chiesa. Ci ho messo più di 8 anni a far capire ai parrocchiani che io non ero la perpetua dei due maschi.”

“Ho trovato spesso sacerdoti che avevano paura della donna; ho sempre avuto parecchie difficoltà, ma alcuni erano più aperti al laicato. La difficoltà grossa sono state le donne parrocchiane che erano prevenute, la mentalità era molto ferma, non volevano nessun cambiamento. Quando, poi, si inizia a fare delle cose, si rendono conto che qualcosa può cambiare. Ma ci vuole tempo e pazienza.”

“Un giorno sono stata espulsa dall’ufficio catechistico diocesano, mi hanno detto che non ero più gradita.”

“Non sento che nelle parrocchie si costruisca comunità e ci sia attenzione alle relazioni. Io mi sono autoesclusa. Vedere il prete con il suo entourage mi pesava molto; ho sentito che non era più il mio ambiente.”

“Non mi sento in sintonia con ciò che vedo in parrocchia. Ho bisogno di una liturgia preparata, curata e fatta bene. Sull’altare non accede nessuno, sono tutti ministranti maschi e molto adulti. Le omelie sono, spesso, accusatorie e non accoglienti.”

Questione di giustizia

Lo spazio che una donna può avere in parrocchia dipende dall’apertura del sacerdote: non è un diritto, è una concessione. È annichilente sentire il desiderio di servire la comunità e non poterlo fare. Subiamo una discriminazione di genere.

Ora si avvertono alcune aperture sull’accesso delle donne al ministero ordinato, ma solo per la scarsità di vocazioni presbiteriali dei maschi.

Non è questa la chiesa equa e inclusiva che desideriamo e di cui abbiamo bisogno.

Per molte delle partecipanti incontrare la nostra associazione è stata la risposta a una preghiera a non sentirsi più sole, a sognare una Chiesa più equa.

L’incontro si chiude con l’invito, da parte di una delle partecipanti, “di coltivare desideri grandi perché ci condurranno su sentieri liberanti.”

A cura della redazione

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