Bilancio di un Sinodo

articolo apparso su Adista – Segni Nuovi n. 41

Dieci mesi fa, con una trentina di donne da tutta Italia, abbiamo pubblicato il nostro Manifesto delle donne per la Chiesa nel quale provavamo ad esprimere difficoltà, ostacoli e speranze che, come donne credenti e impegnate, incontriamo nella Chiesa. Forse per il linguaggio semplice e diretto, forse per l’aderenza all’esperienza o perché i tempi erano maturi per recepirlo, quel Manifesto ha ricevuto molta più attenzione di quanto ci saremmo aspettate e, soprattutto, da lì sono nati in varie città gruppi nei quali le donne si stanno incontrando per confrontarsi, approfondire e sostenersi nel loro impegno.
Con questi gruppi abbiamo iniziato a lavorare sul tema dei giovani e, soprattutto, delle giovani già durante l’estate, in vista del Sinodo che desideravamo poter seguire con un’attenzione competente.
Quando a metà settembre è stata presentata la Costituzione Apostolica “Episcopalis Communio” che indicava la possibilità che il documento finale fosse di tipo deliberativo, abbiamo percepito che si trattava di un appuntamento potenzialmente cruciale per le donne: attraverso il Sinodo avremmo potuto entrare nel processo decisionale della Chiesa ai suoi massimi livelli. Sapevamo che una trentina di donne erano state invitate a partecipare e che avrebbero potuto, per la prima volta, prendere la parola sia nei gruppi che nell’Assemblea, ma sapevamo anche che non avrebbero votato il documento finale e questo nonostante due delegati dell’Unione superiori maggiori fossero religiosi non ordinati e quindi fosse caduto il criterio dell’ordinazione come requisito di accesso al voto. Se non era più l’ordinazione il fattore discriminante, allora lo era il genere e questo, ovviamente, è inaccettabile.
Ci siamo sentite catapultate indietro nel tempo, nel pieno della battaglia suffragista e abbiamo cercato di affrontarla con gli strumenti che avevamo, facendo rete con donne di tutto il mondo. La women’s ordination conference (che promuove l’ordinazione delle donne) a fine settembre ha lanciato una campagna fotografica con lo slogan “votes for catholic women” e in migliaia in tutto il mondo hanno aderito, utilizzando i social per far circolare il messaggio. In Italia siamo state noi di “Donne per la Chiesa” a diffonderla e inoltre, ritenendo che le prime interlocutrici del nostro appello dovessero essere le donne invitate al Sinodo, abbiamo scritto loro una lettera aperta, insieme a Women’s ordination conference e a Catholic women speak invitandole a unirsi a noi nella battaglia per il voto. Purtroppo senza risposta.
Il mese di ottobre si preannunciava un mese intenso per la promozione della presenza femminile nella Chiesa e così è stato, con alcuni momenti particolarmente significativi.
Il primo ottobre è stato presentato il libro “Visions and vocations” che raccoglie le testimonianze di più di 60 donne da tutto il mondo riunite da Catholic women speak , un’esperienza nata in rete e fondata dalla teologa femminista inglese Tina Beattie. Quel volume ha poi trovato posto in un banco nella sala sinodale e 300 copie sono state messe a disposizione dei partecipanti ai lavori del Sinodo, per la loro “riflessione”.
Il giorno successivo una ventina di donne ha organizzato una piccola manifestazione in Vaticano. Scandendo lo slogan “toc toc chi è? Più di metà della Chiesa” chiamavano uno a uno i cardinali presenti al Sinodo chiedendo loro che lasciassero votare le donne. La polizia italiana, insieme alla gendarmeria vaticana, è intervenuta per disperderle, strattonando e poi trattenendo Kate McElwee, direttore esecutivo di WOC. È stato un momento drammatico per tutte noi, presenti e assenti, perché abbiamo realizzato quanto la nostra richiesta fosse dirompente e quanto stessimo toccando il cuore stesso del potere ecclesiale.
Il 3 ottobre ci siamo poi incontrate per riflettere insieme sul discernimento delle donne; il discernimento vocazionale era il tema del sinodo eppure i discernimenti delle giovani donne, così come le loro vocazioni trovano sempre meno ascolto dei corrispettivi maschili.
Nei giorni successivi per iniziativa di Future Church (che promuove la piena partecipazione dei laici alla vita della Chiesa) e altre sigle è partita una raccolta di firme per chiedere – ancora una volta – il voto almeno per le superiore maggiori presenti. Le firme raccolte in pochi giorni sono state 9000 e sono state consegnate a mano al segretario del Sinodo e ad altri cardinali.
Sapevamo che sarebbe stato molto difficile che le regole di voto cambiassero in corso, ma avevamo speranza che un segnale sarebbe stato dato, anche perché numerose voci interne al Sinodo hanno iniziato a levarsi e non solo da parte di suore, ma anche di superiori di ordini maschili come gesuiti e domenicani. Le parole del cardinal Marx, poi, ci avevano davvero fatte sperare: “La Chiesa sarebbe sciocca, pazza, se rinunciasse alla partecipazione delle donne alle sue decisioni, vanno coinvolte altrimenti in tante se ne andranno e avranno ragione a farlo” ha dichiarato il 24 ottobre.
Eppure il Sinodo è finito e questo segno non c’è stato. Inutile nascondere il disappunto: il voto di una o due donne non avrebbe modificato molto, ma sarebbe stato un segnale di ascolto e valorizzazione del legittimo desiderio delle donne di partecipare, inoltre avrebbe costituito un precedente a partire dal quale lavorare per costruire nuove forme, davvero sinodali, di decision making ecclesiali.
Senza scoraggiarci abbiamo poi ricevuto e letto con grande attenzione il documento finale, fiduciose di trovare lì, se non una risposta, almeno una concreta direzione per il futuro.
I paragrafi che si occupano direttamente delle donne sono due: il 55 e il 148. Il paragrafo 55 dice una cosa significativa, cioè che “emerge tra i giovani la richiesta che vi sia un maggiore riconoscimento e valorizzazione delle donne nella società e della Chiesa”, insomma qui la Chiesa ha ammesso di ricevere dai giovani un insegnamento al quale non era stata in grado di giungere da sola: il valore dell’uguaglianza!
Al punto 148 si parla esplicitamente della necessità, evangelica prima di tutto, di coinvolgere le donne nei processi decisionali, ma nessuna azione concreta viene proposta e neppure adombrata. Tutto rimane nell’ambito dell’auspicio… un auspicio che però ha dei limiti (questi sì) netti e concreti: gli ipotetici futuri ruoli decisionali non devono richiedere “ specifiche responsabilità ministeriali. ”. Insomma le donne vanno coinvolte, prima o poi e in qualche modo, purché non chiedano riconoscimenti ufficiali e soprattutto l’ordinazione ministeriale. Per quanto riguarda il voto alle donne nei sinodi futuri non ci sono aperture reali, nella versione ufficiosa del documento finale uscita nei giorni precedenti alla chiusura del sinodo si diceva che “è stata sollevata anche la questione della presenza femminile alle assemblee sinodali, evitando la disparità tra la rappresentanza della vita religiosa maschile e femminile”, ma la frase è sparita dalla versione ufficiale.
Al termine di questo percorso, a tratti entusiasmante e a tratti deludente, abbiamo scelto di prendere comunque questo documento e di farne oggetto di riflessione, anche critica, e approfondimento – come il Papa ha chiesto – e invitiamo tutte le donne a farlo perché il processo sinodale non finisce mai e dobbiamo viverlo da protagoniste.
L’appropriazione di una parola autorevole, da parte delle donne credenti, non è semplice e va costruita con pazienza, a partire da una personale conversione che implica il riconoscimento della “matrice” nella quale siamo inserite e che per tanti anni abbiamo dato per scontata: questa chiesa clericale e maschilista non è l’unica possibile! E anche se siamo convinte che lo Spirito Santo abbia condotto la storia della Chiesa attraverso i secoli, lo siamo altrettanto del bisogno costante di conversione al Vangelo di Gesù Cristo. Per questo possiamo dire che, nel nostro lavorare per un cambiamento della condizione delle donne, c’è un infinito amore, un amore dolente, verso questa Chiesa che non vogliamo lasciare, ma che vogliamo servire nella parità.

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