Maria di Magdala, una donna forte e vulnerabile come me

di Maria Teresa Milano, ebraista

Il suo nome era Maria e veniva da Magdala, un villaggio di pescatori adagiato sulle sponde del lago di Tiberiade. Il vangelo di Luca riferisce che Gesù l’aveva liberata da sette demoni e sono stati versati fiumi di inchiostro sulla simbologia del numero e sul significato del termine, ma non è di questo che vorrei parlare guardando oggi la sua figura.

Sono un’ebraista e leggo il testo cercando i significati racchiusi nelle parole della Bibbia, nelle storie e nella Storia, tenendo a mente il must di ogni buon filologo: “Non fare mai dire a un testo quel che il testo non intendeva dire”. 

Ma anche i filologi possono cambiarsi d’abito e porsi di fronte a quel testo meraviglioso che è la Bibbia per lasciarsi interrogare, perché la sua vera forza è la capacità di non fornire risposte, quanto piuttosto di mettere ciascuno di noi di fronte a domande importanti. Restando nel rispetto della lingua e del testo, senza forzature, ma guardando con occhi limpidi all’aspetto più umano, che tocca tutti, a prescindere dalla fede o da qualsiasi scelta personale.

Maria di Magdala era una donna come lo sono io, forte e al tempo stesso vulnerabile come lo sono io e aveva i suoi demoni come li ho io, come li abbiamo tutti; ciascuno ha i propri ed è difficile contarli, ma sappiamo che quei demoni spesso si dileguano, nell’incontro con persone speciali, nelle relazioni che contano, nell’amore gratuito di chi sa guardarti dentro e tirarti fuori, prendendoti per mano, chiamandoti per nome come Gesù fa con lei. E chiamare per nome significa riconoscerti un’esistenza che è solo tua, speciale e unica.

Maria lascia il suo villaggio e segue Gesù riponendo in lui una fiducia assoluta e in questo non vedo tanto la prova di una scelta spirituale e nobile, anche se sono consapevole del fatto che nel corso dei secoli questa visione ha contribuito in modo decisivo a delineare la sua figura e il suo ruolo. Personalmente vedo soprattutto la sua capacità concreta di amare, liberata e libera da diversi demoni (forse più di 7), come la diffidenza, i dubbi o la paura, demoni che abiteranno invece fino alla fine i discepoli, anche i più vicini a Gesù. Maria resta accanto a Gesù sempre, perché il suo essere donna si traduce anche nel saper condividere e nel rimanere, qualsiasi cosa succeda. 

La ritroviamo in effetti nei giorni della passione e anche sotto la croce; lei è lì e guarda morire l’uomo a cui aveva affidato la propria vita. Lei c’è. I suoi no. Mi ha sempre colpita la Crocifissione di Masaccio, in cui Maria è di schiena, con le braccia spalancate in un gesto profondamente umano, quello dell’abbraccio, quasi un ultimo messaggio per dire “Non sei solo, io resto qui”.

E quando Gesù risorge è proprio a lei che si presenta. Non fa gesti eclatanti, ma ancora una volta, con grande semplicità, la chiama per nome: Maria. E ancora una volta, lei lo riconosce, i suoi dubitano.

La vecchia battuta divenuta cavallo di battaglia di tante omelie pasquali secondo cui “Gesù si è presentato alle donne perché così era sicuro che in un attimo lo avrebbero saputo tutti” non fa più ridere nessuno, perché forse altra è la realtà o, dovremmo dire, altre sono le domande. Sono domande su di noi e sulla nostra capacità di sentirci chiamare per nome, di lasciarci liberare dai demoni, quali e quanti che siano, con il coraggio e la fiducia di Maria di Magdala, con la sua capacità di stare dietro le quinte proprio come Miriam con Mosè e con la sua assoluta libertà di essere sé stessa e non il suo ruolo, con il suo modo molto semplice e reale di essere umana.

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