USCIRE DALLE GABBIE, ROMPERE GLI STEREOTIPI DI GENERE DISEGNATI DAI MASS MEDIA. RISCOPRIRE LA CREATIVITA’ DELLE DONNE

Relazione di Maria Ilaria de Bonis al primo incontro di Donne per la Chiesa, Roma

Nell’immaginario collettivo creato dalla Chiesa cattolica attraverso l’apparato mediatico, e strutturato nei decenni, la donna appare spesso chiusa e limitata in una dimensione binaria, molto caricaturale e decisamente poco corrispondente ad una realtà multiforme e sfaccettata.

In questa costruzione hanno aiutato molto i media, soprattutto i giornali, le riviste, anche quelli non mainstream, ossia i moltissimi periodici diocesani e mensili missionari e parrocchiali. Raccontando con immagini e parole, una icona di donna che non corrisponde più alla realtà. Per lo meno non più ad una fetta di società femminile contemporanea. In passato però ha contribuito a rafforzare uno stereotipo.

E’ come se i media cattolici facessero fatica a stare al tempo con le trasformazioni enormi della Storia, che la società civile vive e propone in maniera sempre più veloce. C’è una lentezza nel recepire il cambiamento. E questa lentezza, io, da giornalista, la percepisco in moltissimi ambiti.

Per esempio in ambito missionario: io scrivo per una rivista missionaria ma si fa una fatica improba a cambiare l’iconografia classica del missionario e a rappresentarla per iscritto. La figura della missionaria donna, laica, semmai sposata o non sposata, che va in Africa per un periodo e che presenta un’idea di missione assolutamente divergente da quelle dei religiosi e delle religiose, è considerata ancora di serie b. E viene rappresentata pochissimo. Se sei donna, giovane (ma anche uomo) e vuoi fare la missionaria, e riesce a farlo, conquisti spazi di informazione minore che se sei una donna o uomo appartenente ad una congregazione specifica. Sui nostri media, insomma, fai meno notizia. C’è come una selezione delle storie in base ad un’idea.

Se poi sei donna, missionaria, per dire comboniana o di altra congregazione, vieni spesso raccontata in ambiti che riguardano la missione al “femminile”. Ossia, noto, per esempio, che le missionarie (da noi meno perché abbiamo un po’ scardinato questo stereotipo, ma in molte riviste avviene) vengono intervistate rispetto alle storie di donne. La “missione in rosa”. Che è un concetto vecchio e fuori dal mondo.

Quando si racconta l’Africa, se c’è da fare una analisi geopolitica sul Paese, si intervista il missionario uomo; se c’è da raccontare la storia di progetti locali con le donne e magari le lezioni di cucito e cucina, si tirano fuori le missionarie donne.

Io ad esempio ho iniziato ad intervistare le suore su temi di geopolitica.

Ho trovato una comboniana tostissima in Mozambico e sono andata a trovarla: lei è una sorta di attivista che combatte contro il land grabbing. Per dire: non tutte le suore sono dedite alle attività nell’asilo con i bambini e non tutte fanno i corsi di cucito. Moltissime ti possono raccontare molto bene la realtà politica dell’Africa e sono interlocutori validissimi.

Ho intervistato di recente una suora in Sud Sudan e ho costruito tutto il pezzo politico con la sua intervista.

Questo è un altro stereotipo da abbattere.

Ma tornando all’iconografia classica delle donne, raccontata dai media cattolici, mi viene da dire che le immagini strutturate sono tre e attenzione alla terminologia:

  • LA LAICA O LA SUORA IMPEGNATA

Donna attiva, dedita alla chiesa, al servizio, all’altro, missionaria, di frontiera (sminuita poi nella sostanza: poiché anche se di frontiera, è suorina), donna di fede. Rappresentata anche visivamente come la laica impegnata e quindi asessuata, priva della dimensione femminile, appiattita completamente sulla dimensione fattuale/spirituale, per cui viene meno quella fisica, della bellezza intesa come cura di sé. Questa donna può essere sia religiosa che laica, ma in entrambi i casi è un po’ caricaturale: poiché è molto funzionale al sistema Chiesa maschile (lei fa, costruisce, relaziona, esegue), ha pochissimo potere decisionale. E’ la donna esecutiva e iperattiva che al sistema piace.

Ma anche questa tipologia, se inizia a chiedere, contestare o proporre in autonomia diventa scomoda. E torno alla mia amica comboniana in Mozambico, ad esempio, che ha difficoltà col suo vescovo se si espone troppo sul tema terra. O le tante amiche che lavorano su temi grossi, come quello della tratta delle donne e dei bambini. Eseguire sì, ma non allontanarsi mai troppo dalla strada tracciata dai vescovi ecc….

  • LA MAMMA E MOGLIE

La seconda immagine iconografica è quella di madre con figli, famiglia, donna sublimata, che allora c’è ed esiste e viene considerata in quanto ricalca l’immagine della Madre di Dio. In questo caso la donna è apprezzata, lodata e portata ad esempio, sia dal clero che non, e se lavora nell’ambito della Chiesa ricopre dei ruoli sempre esecutivi, normalmente di segreteria e viene sostenuta, sempre che rimanga al suo posto di mamma e moglie e non decida di far valere altre competenze intellettuali, decisionali. Su questo stereotipo ci sarebbe moltissimo da dire, anche sul piano dei ruoli professionali. Ti si concede il tempo della maternità, anche di più maternità (a differenza delle donne che lavorano con contratti fuori dalla Chiesa che vengono penalizzate se rimangono incinta), e si incoraggia questa scelta ma poi c’è il blocco professionale. Sei mamma, ha il tempo e il permesso di curare la famiglia, ma poi rimani segretaria a vita.

  • LA RIBELLE

C’è poi una terza icona che si va affermando di questi tempi: l’immagine della donna indipendente di testa e di idee, vista con molta moltissima diffidenza, che è una specie di RIBELLE. Se sei laica impegnata ma non sei impegnata secondo la linea tracciata, sei fuori. Qui i media cattolici non la rappresentano proprio. A meno che non sei una teologa femminista e allora ti si concede spazio nell’ambito delle riviste di genere. Ossia quei periodici dichiaratamente femminili, dove si parla di teologia o di società ed è accettato l’intervento e la visione delle donne ‘femministe’. Ma agiscono solo in quel bacino. La ribelle è scomoda, è isolata, è bloccata, ma è anche funzionale perché consente al sistema di dire che è moderno nell’accettare anche questa tipologia umana.

C’E’ UNA QUARTA STRADA? IN CHE MODO LE DONNE INCONTRANO LE DONNE?

Dunque, ricapitolando: mogli/madri/ impegnate, a totale servizio, esecutive, oppure in terza battuta ribelli.

Mi sono sempre chiesta se fosse contemplata la via di mezzo: io credo che la Chiesa inizi ora a contemplare l’esistenza della via di mezzo. Ci sono moltissime donne cattoliche mamme, o non mamme, professioniste, impegnate e allo stesso tempo autonome, propositive, e con la voglia di contare di più a livello decisionale.

Ma sono tenute ai margini o riportate all’ovile.

Ci sono donne che conciliano bene l’aspetto della femminilità e della cura fisica con l’essere impegnate nella Chiesa o nel mondo del lavoro. C’è molto pensiero tradizionalista dietro certe immagini di donne: è sempre in agguato il rischio di riprodurre lo stereotipo conservatore ammantato di modernità. (vd i libri di Costanza Miriano).

Allora ci chiediamo: è possibile essere donne non in adorazione degli uomini (preti soprattutto, e vescovi in particolare), non al servizio, ma che vivano e lavorino in parallelo, sia con preti che con laici?

Cerco nella società fuori dalla Chiesa l’immagine speculare di questo tipo di donna: professionale, impegnata, intellettuale, madre, femminile, attenta alla dimensione affettiva ed anche estetica, LIBERA.

 Nella società italiana la parità di genere non è ancora portata a compimento: in molti casi anche lì dà fastidio l’autonomia delle donne, la giusta retribuzione, la parità contrattuale, decisionale ecc…  c’è tantissimo lavoro da fare. L’Italia è un Paese ancora profondamente maschilista e profondamente sessista. Però si sta definendo un nuovo mondo: le donne riscoprono dimensioni inedite: chi si era dedicata essenzialmente alla carriera riscopre la bellezza della maternità, della casa, della cura, della creatività e arricchisce dei lati aggiungendo sfaccettature nuove; chi si era dedicata ad una professione seguendo canoni già definiti, riscopre una sua dimensione e una modalità che non scimmiotta affatto quella degli uomini. Anche all’interno di professioni tendenzialmente svolte dagli uomini le donne scoprono di avere una loro specificità. Un particolare sguardo sul mondo.

Questo lo riscontro ad esempio nella mia professione: tra le giornaliste, molto brave, che decidono magari di lasciare la redazione (gestita ancora esclusivamente da direttori uomini) e da freelance, di partire sole e di svolgere un lavoro all’estero, nei Paesi in guerra, al fronte, si diceva un tempo.

Non hanno dietro una struttura, sono libere, sono brave, professionali ed hanno inventato letteralmente un nuovo mestiere, un diverso modo di fare giornalismo: raccontando le storie delle persone, mantenendo uno sguardo molto dettagliato, molto  umano, molto sottile e allo stesso tempo molto politico.

Barbara Schiavulli, Francesca Mannocchi, Susan Dabbous, per esempio. E queste donne non seguono canoni di carriera prestabiliti: decidono di scrivere libri, per esempio, sono fuori dalle logiche classiche del mercato del lavoro e ci sono riuscite.

Questo per dire che esiste un link forte tra le donne cattoliche, che lavorano nella Chiesa, impegnate, femminili, mamme, single, professionali  e le donne che lavorano e vivono completamente fuori dalla Chiesa e sono ugualmente impegnate, professionali, mamme, femminili, creative.

Il link che le unisce è la CREATIVITA’

Cosa che manca completamente laddove c’è un appiattimento caricaturale o un ingabbiamento limitante. E’ come se dentro e fuori (della Chiesa) noi donne avessimo fatto un percorso inverso per poi incontrarci: nella Chiesa il percorso è stato dalla dimensione della mamma e moglie, a quella della donna professionale che concilia tutto e vuole farlo senza vincoli e senza stare agli ordini gerarchici. Fuori dalla Chiesa la donna, figlia del femminismo sessantottino, ha percorso la strada inversa: dalla carriera alla famiglia, capendo che forse la carriera non era tutto e la famiglia è molto di più di quello che credeva.

Questi due magnifici esempi di donne contemporanee adesso si stanno incontrando: sono sulla stessa traiettoria e possono contribuire a rafforzare se stesse uscendo completamente dagli stereotipi di genere e dai condizionamenti maschili e gerarchici.

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Un commento

  1. La mia diocesi ha avuto per sette anni un sacerdote fidei donum a Cuba. Quando è tornato non è stato rimpiazzato per ovvi motivi: non abbiamo abbastanza sacerdoti per le nostre parrocchie. Sono stata nella missione cubana due volte. Parlo “cubano” tanto bene che nessuno neanche gli autisti di taxi dell’Avana hanno mai capito che sono italiana.
    Mi sono proposta per andare a Cuba qualche anno come “rappresentante” della diocesi e aiuto nel lavoro di accompagnamento delle tante comunità sparse nei campi di canna da zucchero che si incontrano una volta o due al mese. Comunità che spesso utilizzano i catechismi per bimbi, non leggono l’Apocalisse in greco per intenderci. Ma dato che “sei una donna e neanche una suora” non è stato possibile. Tutto sarebbe stato un problema: l’alloggio (nella stessa casa con due sacerdoti… eppure uno potrebbe essere mio figlio…), l’incarico che il vescovo cubano avrebbe dovuto conferirmi (a una donna e per di più laica… ma quale???).
    Insomma ad oggi la mia diocesi manda a Cuba una volta l’anno il sacerdote che ci è stato per i sette anni, giusto solo per permettere ad un altro di altra diocesi di fare un breve periodo a casa.
    Al “mio posto” non ci è andato nessuno.
    Meglio nessuno che una donna.
    La “mancanza di coraggio” di cui parla in questi giorni Andrea Grillo, savonese come me, è un’espressione benevola, altro che insulto al Papa.
    A me viene alla bocca un’altra espressione. A voi no?
    Eppure è perché IO non ho le palle che le cose sono andate così.

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